Simone Leo e l’Ultramaratona come metafora della vita

Simone Leo e l’Ultramaratona come metafora della vita

Negli ultimi mesi l’ultramaratoneta Simone Leo si è avvicinato ai nostri prodotti e abbiamo colto quindi l’occasione per fargli un po' di domande su questa disciplina così intensa dove spesso la testa conta molto più delle gambe. Ne è venuta fuori un’intervista davvero ricca di aneddoti che abbiamo il piacere di condividere.

Partiamo dalla fine, cosa si prova al termine di una Ultramaratona?

Considera che per me “ultramaratona” è qualcosa che sta sopra i 140 km. L’ultramaratona parte dai 42 km, l'ultramaratona intesa come la vivo io, vuol dire una maratona dopo i 100, la vera essenza dell'ultramaratona è quindi il viaggio stesso che si fa, 140 km vuol dire tante ore, vuol dire tutta una serie di complicazioni e tanto altro ancora.

Quindi quello che si prova comunque è sempre una grande, grandissima soddisfazione, che è un po’ quella sensazione che io vado cercando.

Il motivo per cui corro è proprio quello, che c'è dall'inizio, da quando ho cominciato a fare le prime corsette di pochi chilometri, dalla primissima uscita e fino ad oggi alle gare più importanti. Poi è chiaro che se c'è di mezzo magari un obiettivo, quindi una gara importante, una “top ultra”, una gara che hai preparato per mesi questa soddisfazione è anche raddoppiata, però anche per dire 100 km che è andata magari non bene, comunque quando la finisci sei contento, quindi diciamo: felicità è un'enorme soddisfazione, più che altro soddisfazione come di lavoro completato, diciamo così.

 

Una Ultramaratona è un po’ una metafora dalla vita?

Una metafora della vita, assolutamente. Io parlo nelle scuole, parlo nelle aziende. Perché proprio viene portato un po’ la mia storia da sedentario sovrappeso a ultramaratoneta, insomma, con tutto quello che ho fatto.

Ma proprio perché è una metafora della vita, cioè l'ultramaratona è uno stile di vita, nel senso che ti mette davanti a tantissime difficoltà e poi sta a te riuscire a superarle, avere quella determinazione che ti porta poi al traguardo e se tu questa cosa la applichi alla vita di tutti i giorni o al tuo lavoro o qualsiasi altra cosa ci sta, perché anche la vita non è facile, ti mette davanti a tanti ostacoli, però se tu hai la forte determinazione di arrivare fino in fondo, hai la perseveranza di continuare a lottare alla fine porti a casa il risultato.

Così torniamo a quello che abbiamo detto prima, ovvero alla fine sarai molto soddisfatto, e questa soddisfazione poi ti fa stare bene.

Nel libro "Spostando il Limite" ci parli di limiti e di come superarli.

Ci racconti alcuni episodi durante una gara dove l'ostacolo sembrava proprio insuperabile?

Eh qua potremmo fare una tesi di laurea, potremmo fare un altro libro. Ce ne sono tantissimi, non saprei nemmeno da dove cominciare.

Il primo che mi viene in mente è forse la gara più difficile che ho fatto, cioè Arrowhead Ultra 135 che ho corso nel gennaio 2020, poco prima dell'inizio della pandemia, ed è l'ultramaratona più fredda del mondo. E si corre appunto a gennaio, pieno inverno nel nord del Minnesota, confine con il Canada e sono 220 km non stop in totale autosufficienza, trainando una slitta di 20 kg, con tutto l'occorrente per la sopravvivenza in mezzo ai boschi, quindi ghiaccio, neve, insomma già così è difficilissima.

Poi c’è chiaramente un tempo limite e lì è successo che per una serie di imprevisti, (fino a quel momento in tutte le gare che avevo fatto, top ultra, diciamo quelle sopra i 200 km non stop, ne facevo una all'anno, ne ho sempre fatto uno all'anno e non ho mai avuto particolari problemi, mi è sempre andata bene da un punto di vista fisico non ho mai avuto infortuni o cose anche durante la gara) invece ad Arrowhead, a parte che si corre a -40 °, quindi già quello… la temperatura è scesa fino a -39° fai conto che la più alta è stata -14°, però quando ti sei abituata a -39, -14 ti sembra caldo.

Praticamente per una serie di imprevisti ho avuto una serie di infortuni tutti ravvicinati, quindi ho avuto una flebite, fondamentalmente c'era stata un’infiammazione di una vena di un polpaccio, ma niente di che, normale per lo sforzo. Poi avevo avuto un collasso di una parte di muscoli della schiena, per colpa della slitta. E poi sono anche rimasto da solo per 9 lunghe ore di notte, perché per una serie fortuita di inconvenienti non ho visto nessuno dell'organizzazione e nessun altro atleta e quindi sono rimasto sul percorso per 9 ore di notte da solo.

Con tutti questi problemi, ho pensato fosse finita, che fosse inutile arrivare al traguardo in quelle condizioni, invece poi è stata una notte infinita che probabilmente non dimenticherò mai, e siamo riusciti a portarla a casa.

È lì che ho capito che quello sia stato proprio il limite massimo che potevo raggiungere.

 

 

Anche lì c'è stata tanta soddisfazione al termine, ma immagino non la stessa soddisfazione delle altre volte, suppongo tu abbia avuto più soddisfazione delle altre volte nel completare questa ultramaratona?

Si sì, ho avuto soddisfazione, però mi ha anche lasciato quel senso di “più di così non si può fare”. Ho avuto un'enorme soddisfazione, anche un'enorme commozione, tra l'altro l’ho dedicato ad un mio amico che non c'era più. Però è stata proprio un po’ come una chiusura di un cerchio. È stata una soddisfazione, ma quasi quasi con un po’ di malinconia, mettiamola così. Perché in realtà io ho capito che più di così si muore e quindi è meglio evitare. Insomma, il limite è quello lì.

Ora facciamo un passo indietro, a cosa pensi nei minuti prima di iniziare una gara lunga centinaia di Km?

I minuti prima, una domanda che non fanno quasi mai che è bella, io cerco di isolarmi, io cerco di non pensare, cioè cerco proprio di quasi sminuire, quasi di sorridere a quello che mi aspetta.

Poi ci sono gare e gare. Ad esempio, se devo fare 100 km come il passatore che l'ho fatto 200.000 volte, non mi preoccupa minimamente. Di conseguenza rido, scherzo, casomai mi viene un po’ di scazzo perché poi non è che c'ho sempre tutta sta voglia di fare tutte quelle ore, però la prendo come un'avventura, per cui cerco di non pensarci.

Invece nelle gare un po’ più difficili ovviamente c'è tanta, tantissima tensione. Sono sempre sfide con me stesso, non è mai una gara con gli altri, però tu sai già che comunque da quel momento li avrai magari ore, se non giorni, perché comunque ho fatto gare anche di 500 km, quindi 5-6 giorni in giro e sai già che sono giorni di insofferenza o comunque di poca comodità, fuori dalla comfort-zone. Diciamo che io cerco proprio di staccare completamente, di concentrarmi, di non pensare, di buttarla sul ridere, davvero di non pensare a quello che mi aspetta perché è meglio non pensarci.

 

 (Simone nella sua impresa di Arrowhead Ultra 135, 20 gennaio 2020) 

 

C’è qualche gara alla quale tu sei particolarmente legato?

Ma guarda c'è ne sono tante, forse, mi verrebbe da dirti la Spartathlon che è tra Atene e Sparta, che è considerata l'ultra maratona su strada più dura del mondo, che io ho fatto nel 2016 perché è un po’ l'Olimpiade dell'Ultra maratona. L'ultra maratona non è uno sport olimpico, ma la Spartathlon è un po’ considerata l'Olimpiade perché ha un po’ le stesse caratteristiche.

Ti devi qualificare, entri con delle qualifiche, fai parte del team Italia, vai in ritiro, cioè nel senso che ci sono proprio gli alberghi divisi per nazionali. È una gara molto difficile: 246 km, 4500 M di dislivello e 36 ore tempo massimo, quindi pochissimo, e devi sempre correre. Si parte dall'Acropoli di Atene, si arriva alla statua di Re Leonida Sparta,

È la gara che ogni ultramaratoneta vorrebbe fare e io sono riuscito a qualificarmi e a concluderla al primo colpo nel 2016. Oggi non ce la farei probabilmente più, né avrei la voglia di rifarlo, però rimane comunque una cosa che è stata fatta, nella bacheca.

Quali sono i primi consigli che daresti a un runner che vuole partecipare ad una Ultramaratona?

Di andare per gradi e di ascoltare chi ne sa di più. Io sono sempre stato una spugna sui consigli, ho ascoltato tutti sempre.
Il mio consiglio è di andare per gradi, cioè non pensare che oggi fai 100 km e domani fai la Milano Sanremo. Non funziona così, cioè tutto ha un suo tempo e bisogna anche appunto rispettare questa cosa. Ci vuole molta determinazione, molta costanza, molta pazienza e solo così puoi arrivare anche dove prima ti sembrava impossibile.

Hai una frase che ti piace dire o che ti dà carica che puoi condividere con noi?

Ce ne sono tante che utilizzo però io quello che dico sempre è che l'ultramaratona è per il 95% testa per il 5% gambe. Non è proprio un mantra, ovviamente, ma è una cosa che io mi ripeto sempre quando inizio ad andare in crisi, mi ricordo che comunque è tutta testa che il fisico può essere allenato finché vuoi, ma poi conta solo la testa.

L'ultima domanda, quali sono le tue prossime sfide?

La prossima sfida è la Mi-Mil Kil in Francia, che si terrà il 18 Giugno. È una gara di 500 km in 150 ore, dove si può avere l'assistenza, un po’ più semplice, che comunque mi darebbe in qualche modo un po’ di slancio per il futuro. Rispetto alle altre che ho fatto è qualcosina di meno a livello di rischi per adesso è un'idea però non ho ancora nulla di concreto.

Non ci resta che ringraziare Simone per il tempo che ci ha dedicato e per chiunque voglia approfondire il tema vi consigliamo di leggere il suo libro Spostando il limite.